Un’università dovrebbe essere un luogo di luce, di libertà e di studio.
Benjamin Disraeli
Lo avrai notato.
Più volte in questo blog ho provato a far passare un semplice concetto.
L’università è molto più di un semplice elenco di voti sul libretto.
L’università è un luogo di crescita, approfondimento ed esplorazione.
Un posto in cui sì, ci specializziamo verticalmente in un determinato settore, ma anche nel quale maturiamo le – a volte più utili – competenze trasversali.
È sempre all’università che definiamo al meglio le nostre ambizioni, comprendiamo quali siano le opportunità che ci circondano, compiamo scelte che segnano il nostro futuro professionale.
Eppure molti di noi sembrano ignorare questo fatto.
Anzi, a dire la verità cascano nella più comune delle trappole accademiche.
Quella di limitarsi alla rincorsa al voto alto su libretto.
La corsa del topo universitario
Non ho passato il mio esame in diverse occasioni. I miei amici invece sì. Ora loro sono ingegneri e lavorano alla Microsoft.
Io invece ne sono il proprietario.
Bill Gates
Lo ammetto.
Ci sono cascato inizialmente anche io.
Sono precipitato nella stessa trappola nella quale ancora oggi cascano tantissimi studenti.
Quella di sacrificare alcuni degli anni più importanti della propria vita in nome di un 30 sul libretto.
L’ho ribattezzata la corsa del topo universitario e funziona così.
Leggi bene.
Iscriviti all’università→ Competi per il posticino in prima fila a lezione→ Fai a gara per farti notare dal prof→ Torna a casa e studia a testa bassa per tutto il pomeriggio→ Metti da parte progetti personali e vita sociale→ Escludi ogni altro programma accademico (“Erasmus? Troppe carte, troppe cose, devo studiare io”)→ Organizza la tua vita in funzione del calendario di esami→ Studia giorno e notte, sacrificati, riversa anima e corpo sui libri, insegui il 30 e lode→ Laureati col massimo dei voti→ Ricevi (forse) il premio: un lavoro.
Sono sicuro che questo schemino sarà familiare a tanti di noi.
E sono sicuro che ci aprirà anche un po’ gli occhi.
Ora, parliamoci chiaro.
Non intendo di certo sminuire l’importanza dei voti accademici.
Tutt’altro.
Avere voti alti è sicuramente un quid in più.
Il problema, a mio parere, sorge quando la nostra rincorsa ai voti alti ci porta ad una cieca ed inutile competizione con i colleghi.
Ci induce anche a chiuderci a guscio.
Ci porta a sottavalutare l’enorme mole di attività curriculari ed extracurriculari che possono realmente segnare una svolta per il nostro futuro.
Sfuggire al destino del gregge
C’è un bel detto che mi è sempre piaciuto.
Se fai quello che già fanno tutti, è chiaro che otterrai esattamente quello che già hanno tutti.
Dove voglio arrivare?
La falsa convinzione che guida il 90% degli studenti e che li porta a vivere solo di libri e studio “formale” è quella che un voto alto sia in grado di garantire sicurezza economica e benestare lavorativo.
Siamo convinti che una laurea con lode sia in grado di spalancare le porte del paradiso.
La realtà poi puntualmente smentisce queste nostre aspettative.
Nella maggior parte dei casi ci ritroviamo con un pregiato pezzo di carta, ma anche con conoscenze teoriche e pochissima esperienza sul campo.
Ci aggiungiamo così soltanto all’enorme esercito di laureati in cerca di lavoro.
Un marea di studenti che nonostante i voti alti e tantissime buone intenzioni non ha alcuna competenza distintiva rispetto agli altri.
Non hai mai fatto qualcosa di diverso prima di laurearsi.
A questo punto chiediamoci una cosa.
Perché mai un datore di lavoro dovrebbe assumere proprio noi?
Che valore saremmo in grado di fornire?
Cosa abbiamo di speciale se il nostro CV è pressoché uguale a quello degli altri mille mila candidati in cerca di lavoro?
Eppure l’università offre molto per differenziarsi.
Le opportunità per maturare competenze distintive sono tantissime.
- Che si tratti di imparare il cinese o l’arabo attraverso i servizi dei CLA (spesso gratuiti)
- Che si tratti di maturare skills trasversali, quali leadership e team building, aderendo ad esempio ad un’associazione studentesca.
- Che si tratti di uscire dalla nostra zona di comfort, dal nostro guscio sicuro, e prendere parte ad una mobilità Erasmus.
- Che si tratti di lanciare la propria prima impresa attraverso gli incubatori di Start-Up della propria università.
- Che si tratti di frequentare workshops, laboratori di scrittura, stampa 3D, digital marketing, imprenditoria, web design, publick speaking, coding organizzati da ormai ogni università.
(Inserisco a titolo di esempio le iniziative del Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, dove ho studiato)
Lo ripeto.
Iniziative simili sono disponibili in ogni università.
Tutte le competenze e soft skills che così maturiamo sono in grado di farci fare un enorme salto di qualità rispetto a quella larga parte dei colleghi che non ha mai alzato lo sguardo dai libri.
Se facciamo quello che già fanno tutti otterremo quello che già tutti hanno.
Ma se ci distinguiamo e facciamo qualcosa di diverso rispetto a quello che già fanno gli altri, bé, otterremo di più.
Più competenze, più skills, più esperienza.
Più possibilità di diventare player attivi nel mercato del lavoro, in qualità di dipendenti o anche di imprenditori.
Esplorazione e consapevolezze
Lo abbiamo appena detto.
Dedicarci ad esperienze che vadano ben oltre le semplici conoscenze teoriche dei libri ci permette di maturare competenze distintive.
Ci rende differenti, mi perdonerai la parola, in mezzo al gregge.
Ma oltre questo c’è anche altro.
L’università è anche un luogo in cui ci guardiamo attorno ed esploriamo.
Interagiamo con un oceano di nuove possibilità, riflettiamo e giungiamo alle noste conclusioni.
Comprendiamo con un maggior grado di dettaglio chi siamo, cosa stiamo facendo e quali siano le nostre ambizioni.
Ti racconterò un po’ cosa è successo a me.
La mia esperienza
Forse non lo sai.
Durante i miei studi a Palermo ho ricoperto per due mandati consecutivi la carica di rappresentante degli studenti.
Sono stati tre anni intensi e indimenticabili durante i quali sono stato parte di un’associazione studentesca.
Un gruppo diventato per me una seconda famiglia.
Da quegli anni ho anche ottenuto due forti consapevolezze.
Nuove certezze che hanno definito molto anche chi sono oggi e quello che faccio.
La prima è questa che sto per dirti.
Ho capito di essere una persona introversa
Esatto.
Proprio così.
Non amo la notorietà.
Non mi piace la luce dei riflettori.
Lo so.
Strano detto da uno che ha ricoperto la carica di rappresentante degli studenti.
Un ruolo che, per forza di cose, ti porta a parlare in pubblico e a “vendere” le tue idee e i tuoi programmi ai colleghi.
Ma è stata proprio quest’esperienza a farmi capire questo importante tratto del mio carattere.
Resto una persona introversa, riflessiva, e non amo di certo le troppe chiacchiere, specie se non accompagnate dalla sostanza dei fatti.
Ho capito così che non mi piacerebbe cimentarmi in una professione che richiede, ad esempio, una consistente esposizione mediatica.
(Cosa che, prima di iscrivermi all’università, pensavo di volere)
Ho meglio compreso le mie preferenze e le mie attitudini.
Eppure non solo sono stato eletto per entrambi i mandati ai quali mi sono candidato, ma la seconda volta sono stato confermato col maggior numero di voti.
Com’è possibile?
Perché così tanti colleghi mi hanno confermato se in giro c’erano altri candidati dalla parlantina facile e ben più bravi a vendersi rispetto a me?
Te lo spiego subito.
E qui arriviamo alla seconda consapevolezza.
Legge del valore
Ho fatto proprio questo.
Nei miei anni da rappresentante ho lavorato bene e ho messo il cuore per aiutare i miei colleghi.
Non ho mai disertato un consiglio di corso.
Mi sono dato da fare e non ho mai negato laddove possibile il mio aiuto.
E tutto mi è poi tornato indietro il giorno delle elezioni.
Lì ho scoperto la legge del valore.
Che tu sia un imprenditore, un informatico, un ingegnere o un consulente aziendale, che tu sia uno studente a caccia di una conferma elettorale, la legge del valore non mente.
Lavora per risolvere i problemi delle persone.
Fornisci soluzioni a disagi e necessità e otterrai in cambio un fatturato, uno stipendio, o anche voti.
Nessuno, a parte magari amici e parenti, ci paga o ci vota per aiutarci a inseguire il nostro sogno.
Il mondo è un posto crudele e agli altri di quello che a noi piace fare non gliene frega una beata mazza.
Le persone, i consumatori, i clienti, i datori di lavoro, ci pagano per il valore che forniamo.
Ci pagano per la qualità dei nostri prodotti, dei nostri servizi, del nostro operato, delle nostre azioni mirate a risolvere le loro specifiche esigenze.
Nessuno viene dai noi e, mosso da bontà, paga cento euro per acquistare le nostre cinesate perché noi “vogliamo raggiungere il nostro sogno”.
Lo ripeto.
Il mondo è un posto crudele e agli altri, dei nostri sogni, non gliene frega niente.
Lavoriamo per fornire valore e risolvere i problemi delle persone.
Solo allora otterremo in cambio cento euro per il nostro prodotto o per i nostri servizi.
Quest’importante lezione imprenditoriale (diventare imprenditore era il motivo per il quale mi ero iscritto ad economia) non l’ho di certo appresa sui libri.
L’ho compresa solo attraverso la mia esperienza da rappresentante degli studenti.
Ed è proprio questa consapevolezza ad accompagnare ancora oggi ogni post su questo piccolo blog.
Prima di pubblicare ogni articolo mi chiedo:
Sto creando valore per i miei lettori?
Sto migliorando la qualità della loro vita?
Conclusioni
Alziamo dunque la testa dai banchi.
Apriamoci a quanto di meglio l’università possa offrire.
Maturiamo competenze distintive rispetto agli altri, scopriamo nuove possibilità e otteniamo nuove certezze.
Comprenderemo molto sulla nostra persona, sul perché ci siamo iscritti all’università, su quale sia il futuro professionale al quale aspiriamo e su come intendiamo raggiungerlo.
Non potremo di certo farlo chiudendoci nell’introspezione dei libri, ma solo interagendo con l’esterno.
Spero l’articolo sia stato d’ispirazione.
Un abbraccio,
Carlo