Qualcuno si ricorda di quando i tempi non erano difficili e i soldi non scarseggiavano?
Ralph Waldo Emerson
Tempo di crisi. Lo sa bene ognuno di noi.
A distanza di anni assistiamo ancora ogni giorno a notizie di ogni genere.
Per un attimo l’economia mostra segnali di recupero. Il giorno dopo la disoccupazione tocca nuovi record.
Una mattina la televisione ci dice che l’industria italiana è in chiara ripresa. Il giorno dopo che sempre più famiglie vivono sotto la soglia di povertà.
Che sfiga, certo, vivere nel decennio che ha seguito una delle peggiori crisi economiche della storia, non è vero?
Ma che cosa potremmo fare dopotutto?
Quali alternative abbiamo oltre al solo aspettare che tutto passi e le cose volgano per il meglio?
In fondo, una volta superata la crisi arriverà finalmente il nostro momento.
Un lavoro sicuro, il posto fisso, la tranquillità economica.
Tutto tornerà come prima.
Non è forse così?
Non proprio
Non doversi incastrare in uno schema predefinito significa essere liberi di esplorare.
Riccardo Pozzoli
Ti dirò subito una cosa. Una frase che ho sentito molto spesso in questi anni a Palermo è stata questa:
“Nun c’è travagghiu. C’è crisi. Nun ci pozzu fari propriu nenti.”
Capito bene?
Il lavoro non c’è, c’è invece la crisi e non ci si può fare proprio niente.
Cosa vediamo?
L’errore, per molti di noi, diventa proprio quello di accettare passivamente le circostanze esterne.
Quello di condividere una visione di se stessi inermi sotto i colpi della vita.
Piangiamo, frigniamo e sbattiamo i piedi per terra, ma allo stesso tempo rinviamo la presa di responsabilità, restando immobili nella speranza che le cose migliorino da sé.
Dovremmo invece, a mio avviso, interiorizzare un concetto molto importante.
L’era del posto fisso e delle etichette professionali che ci accompagnano per tutta una vita è finita, così come gli schemi rassicuranti e prestabiliti che valevano trent’anni fa per i nostri genitori:
- Se un tempo avevi una laurea in Economia sapevi che per la tua intera vita saresti stato un dottore commercialista
- Uscendo da giurisprudenza ti avrebbe aspettato una brillante carriera d’avvocato
- Con una laurea in lettere e filosofia il tuo ruolo nel mondo sarebbe stato quello di un insegnante, e nessuno te lo avrebbe portato via
Tutto questo è finito.
I mercati sono cambiati.
Oggi come mai prima è probabile che ognuno di noi ricopra, nell’arco della propria vita lavorativa, più di un ruolo professionale.
Siamo chiamati a maturare nel tempo nuove competenze, ad adattarci ai cambiamenti sempre più repentini della tecnologia, e ad adeguarci alle conseguenti richieste del mercato del lavoro.
Questo, se da un lato intimorisce e riduce ampiamente le nostre certezze sul futuro, dall’altro ci regala ampi margini di manovra per inseguire molto più di una semplice routine lavorativa.
Parlo dell’appagamento professionale e del sentimento di autorealizzazione.
Il lavoro è ancora un diritto?
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Art. 1 Costituzione
Permettimi adesso una piccola considerazione.
Il contesto economico di certo non aiuta. Come metterlo in dubbio?
Ma ancor prima di accusare la sfiga che ci dà sempre addosso perché non proviamo a fare un po’ di chiarezza?
Fermiamoci un attimo e chiediamoci perché mai ci dovrebbe toccare un lavoro.
“A Carlè, scherzi?! Il lavoro è un diritto, non lo sai? Ho due lauree. Amme mi spetta punto e basta!”
Poniamoci allora per un attimo questa domanda:
Che valore sono in grado di aggiungere ad un’impresa o ai miei clienti?
O ancora meglio:
Sono in grado di risolvere problemi per cui la gente è disposta a pagare?
Capisci dove voglio arrivare?
Io, Carlo produttore, sarei disposto a pagare anche 2000 euro al mese chiunque sia in grado di generare per la mia impresa, attraverso le proprio competenze, un valore aggiunto mensile pari anche a soli 2100 euro.
Ne guadagneremmo entrambi.
Io, che mi sono assunto il rischio d’impresa, ottengo il valore in più che desidero per la mia attività. Lui fornisce detto valore tramite le sue abilità ed è ben remunerato per questo.
Sempre io, Carlo produttore, non avrei d’altra parte alcuna intenzione di assumere qualcuno che, pur avendo tre lauree con lode e bacio in fronte, non può aiutare la mia attività.
Chiaro?
Il lavoro c’è nel momento in cui siamo in grado di produrre valore. C’è poco da fare.
Il discorso è lineare e vale per tutti, studenti compresi.
Anzi, soprattutto per gli studenti.
Questo articolo potrà suonare cinico, e mi spiace per questo, ma a mio avviso rispecchia un’amara verità che non dovremmo trascurare.
È molto romantico seguire esclusivamente sogni e passioni. Spendere quindi anni di studio in corsi di laurea di dubbia utilità in nome della volontà di dedicarsi solo a ciò che più si ama fare.
Il problema viene dopo.
Sorge nel momento in cui guardiamo in faccia la realtà e prendiamo atto del fatto che le passioni su cui abbiamo investito per anni risorse ed energie non incontrano la risposta positiva del mercato.
Non sono richieste, o non sono più utili.
Dobbiamo tenerne conto ed agire di conseguenza.
Competenze
Il miglior investimento che tu possa fare è quello su te stesso.
Warren Buffett
Lo abbiamo capito.
Se da un lato dobbiamo smettere di preoccuparci di cose che non possiamo controllare (variabili macroeconomiche, giravolta politici, epidemie venute dalla Cina) dall’altro dobbiamo fare un’altra cosa.
Dobbiamo rivolgere la nostra piena attenzione su quanto possiamo fare ora per noi stessi.
Dobbiamo diventare migliori per essere più desiderabili all’interno del mercato del lavoro.
Dobbiamo sviluppare nuove abilità applicabili in un contesto economico in continua evoluzione.
Dobbiamo valorizzare noi stessi apprendendo nuove cose.
È anche troppo scontato ricordare che la parola crisi è sinonimo di opportunità, ma la verità di questa affermazione non cambia.
Il contesto economico si evolve e l’unico dato innegabile è che mentre alcuni posti di lavoro spariscono molti altri ne appaiono.
Cambia il sapere, cambiano gli obiettivi, cambiano le competenze e cambiano le procedure.
Quello che non cambia è solo l’abbondanza delle nuove occasioni che fanno seguito ad ogni cambiamento.
C’è bisogno di una sana voglia di sporcarsi le mani e di imparare un mestiere nuovo ed utile.
Studiamo, leggiamo, impariamo.
Frequentiamo corsi online, impariamo l’inglese, prendiamo parte agli incontri e ai numerosi workshop sul territorio.
Prestiamo attenzione alle nuove innovazioni.
Stampa 3D, robotica, intelligenza artificiale, coding, digital marketing, copywriting, fintech, digitalizzazione delle PMI e chi più ne ha più ne metta.
Le possibilità di formazione ci sono, e molte sono anche gratuite.
Questo è un messaggio che ho ricevuto recentemente da CampusParty, la fiera digitale che si tiene ogni anno a Milano.
Chiaro?
Le opportunità formative sono infinite.
Continuiamo a investire su noi stessi e non perdiamo mai di vista il vitale ruolo di una perpetua formazione che vada di pari passo con i nuovi trend dell’innovazione.
Non smettiamo mai di investire su noi stessi e soprattutto non smettiamo mai di metterci in gioco.
Migliori saranno le nostre competenze, maggiore sarà la nostra capacità di produrre valore, maggiori saranno le possibilità di rimanere player attivi nel mondo lavoro.
E questo sia con la crisi sia senza la crisi.
Noi ci leggiamo al prossimo articolo.
A presto,
Carlo
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